Ebbene sì, pur essendo praticamente ateo, probabilmente agnostico con influssi spiritualistici vari (difficile a definirsi), mi piace leggere di scrittori cristiani soprattutto per un discorso morale, perché in genere sono i più autentici e veri.

Non è il caso di questo libro, almeno, visto che Feurbach era rinomatamente ateo e in questo testo avversa il cristianesimo pur mantenendone integri gli insegnamenti e le lezioni edificanti. Il tentativo, infatti, nel quadro di una ragione illuministica di ritorno, è quello di salvare il salvabile e di riporlo nell’uomo: l’abbiamo studiato tutti a scuola in fondo, chi più chi meno; ma la cosa che mi ha colpito di più è questo passaggio, quasi all’inizio, dove si dice che:

Chi fa agire Dio umanamente, dichiara divina l’attività umana.

Molto bello: quindi tutto ciò che facciamo in fatto di religioni di antropomorfizzare il divino altro non ce lo riportiamo che in noi divinizzandoci: un capovolgimento sublime. C’è però da dire una cosa: quando io faccio il gioco di attribuire a Dio attributi che secondo Feurbach sono sempre appartenuti a me umanità non è che lo faccio per mancanza, ossia perché mi sono sempre mancati? Perché sono i fini verso cui tendere? Il senso è proprio questo: la riappropriazione di questi elementi è un telos irraggiungibile ma se ci poniamo su questa strada possiamo fare in modo da perfezionarci, e ciò parecchio tempo prima dei sogni sul superuomo di Nietzsche!

Dührer

C’è da dire che essenzialmente la critica al cristianesimo appare solo nella misura in cui essa è funzionale ad una sua riappropriazione: è bene ripeterlo. Leggiamo infatti che:

Il paganesimo pensò e comprese l’individuo soltanto come parte a differenza del tutto, della specie, il cristianesimo […] soltanto in immediata, indistinguibile unità con la specie.

Dunque la fallacia sta nel fatto che per il cristianesimo l’uomo è anteposto sì al Dio, e ciò perché esso è fattosi uomo, ma solo nella misura in cui la fede assurge poi a collante generale dell’infrastruttura teologica, che è l’unica che conta in religione; è un po’ ciò che si dice quando si vuole intendere che Cristo è stato un rivoluzionario ma, per chi non crede, il suo messaggio è stato traviato e ci si è eretta sopra un’intera impalcatura di senso – la Chiesa – la quale ha fatto i suoi interessi, che per carità sono più che ammirevoli a tratti (a tratti meno), senza però comprendere la carica affettivo-sociale presente nel messaggio originario.

L’essenza del cristianesimo è pertanto un libro sicuramente da collocare storicamente nel quadro di quella lotta intestina che seguì gli insegnamenti di Hegel ma che, da un punto di vista squisitamente apologetico, può anche superare l’evidente muro storico nella misura in cui tutte le opere di significato, tutti i classici, hanno poi una loro posizione di valore anche nel presente.

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